Ogni sguardo può diventare una bella storia

Gregorio - Un lucido sguardo

04.06.2013 23:29

 

Un lucido sguardo

 

 

L'uomo avanzò ancora, avvolgendosi nel grezzo mantello di lana; la pioggia frustava la campagna, ma non era ancora il tempo di fermarsi. Guardando in basso, scorse nel fango mosaici consunti, fessure di colore sul sentiero grigio; il viandante sospirò una sola volta, e camminò su quegli immobili volti di pietra.A quella vista, l'uomo si curvò ancora, e un brivido familiare, il brivido che lo aveva colto fin dalla prima volta che aveva sfiorato il consunto testo di Virgilio conservato dal suo vecchio abate, gli formicolò lungo la schiena: la sensazione di uno strappo, di una malinconia mai risanata che lo sommergeva per un attimo davanti a qualunque frammento del passato, fosse un profilo niveo gettato tra l'avena o un capitello fiorito incastonato nel banco di un pescivendolo: come se in quei momenti comprendesse di aver sempre mancato di un tassello d'anima, e di averlo ora ritrovato liso e scheggiato. Talvolta, gli ripeteva ridendo il suo mentore, socchiudendo i lucenti occhi azzurri, sembrava più un esiliato di quei tempi pagani che un uomo del loro secolo. Ed effettivamente, per lui era così, anche se non lo aveva mai rivelato a nessuno; ed era per quello, per quella percezione che lo colmava e lo pungeva ad un tempo, che era diventato un monaco: per poter avvicinare il bene segreto e ambiguo dei libri, e ritrovare altre tessere del suo spirito.

Anche quel viaggio, in quelle rovine dilavate dalla pioggia e dai secoli, era nato da un libro: il manoscritto avvolto di pelle che stringeva al petto, e che proteggeva dal nubifragio più del proprio capo. Solo un orlo affiorava dalle vesti, scuro e spoglio: quel libro non aveva la sfrontata opulenza degli evangelari, o il rigoglio di capi lettere delle Bibbie; i suoi caratteri erano nitidi e nervosi, vergati in un nero uniforme, acceso di lingue rosse nei titoli e nei passaggi fondamentali; le sue illustrazioni stilizzate e simboliche, come se il suo artista avesse dovuto lavorare in fretta e in segreto. E ciò perché quel manoscritto non sarebbe dovuto esistere.

Schermandosi con la mano libera dai rabbiosi assalti di gocce, Gregorio intravide finalmente, sul colle accanto alle rovine della grande casa, il profilo tozzo e bruno del monastero. Poco più in alto dell'orto, le lame di luce ambrata della cappella fendevano il buio; avvicinandosi, il viaggiatore udì, frammischiati ai belati delle pecore nell'ovile, le cadenze solenni eppure agili dei canti dei monaci.

Era giunto all'ora dei Vespri, proprio per destare il minimo clamore, e raggiungere lo scriptorium con meno incontri possibili: il suo scopo era troppo prezioso, il suo piano troppo folle per simili rischi.

Con un ultimo sforzo, Gregorio risalì il tortuoso sentiero di terra battuta che conduceva alle massicce porte della foresteria; giunto al riparo della volta di pietra, calò il cappuccio, concedendosi un istante di quiete. L'aria d'autunno era gonfia dell'odore di muschio, di terra, di materia che muore e si trasforma; le chiome del meleto sussultavano nel vento, agitandosi come i misteriosi uccelli dei bestiari orientali, e l'edera che aveva visto nascere da bambino si intrecciava, ormai, su tutta l'ampia colonna dell'uscio e sull'arco, lucida e bruna. Il monaco pensò a quanti anni erano trascorsi da quando se ne era andato, a quanti tasselli di spirito si era riconquistato, e di quanto folle fosse quell'ultima impresa; poi inspirò profondamente, si voltò, e bussò col pesante battente. Trascorsero alcuni attimi di silenzio, poi una voce sommessa, uno strusciare di piedi sulla pietra. Quando la porta si socchiuse con un cigolio, il chiarore della lucerna quasi lo accecò; nel momento in cui poté nuovamente vedere, si ritrovò di fronte ad un piccolo uomo calvo dalla bocca sdentata e il naso aquilino, ma nei cui occhi sfavillava ancora l'intelligenza. -Benvenuto, pellegrino, se sei qui in cerca...- la forte voce roca morì, mentre il monaco riconosceva Gregorio -...Tu? Santo cielo, che cosa fai qui?-.

Il viaggiatore si rialzò, ed esito un istante: ricordò quegli stessi occhi mentre ridevano guardandolo assaggiare disgustato i cataplasmi, pomeriggi d'inverno e di storie, l'odore bruno e speziato quando cercava il suo abbraccio. La sua voce si incrinò solo un poco. -Astolfo- sussurrò al medico-ti prego, non chiamare l'abate. Lascia prima che ti spieghi. Per tutto ciò che è stato, lascia che ti spieghi perché sono qui.-.

Il monaco ricambiò il suo sguardo con l'acume sfrontato con cui valutava i lividi di uno dei suoi pazienti, rimanendo in silenzio; poi sospirò, e tornò l'uomo che l'aveva cresciuto tra gli aromi del laboratorio e le carezze delle sue lunghe mani sapienti. -Va bene, va bene- esclamò – ti ho medicato le ginocchia troppe volte per tenerti fuori con questo tempaccio.-.

Sorridendo, Gregorio entrò nel piccolo atrio lindo, asciutto e accogliente come il guscio di una chiocciola: riconobbe, modulate dalle ombre, le bocche scure e amate dei corridoi in cui aveva corso, respirato e vissuto per sedici anni. Prima che scoprisse il Codice, e cominciasse la sua ricerca. Prima che le sue parole riempissero di lacrime gli occhi dell'abate, e lui dovesse abbandonare la sua vera famiglia.

Scrollò il capo, ma non sganciò la pesante fibula del mantello: non era ancora il momento di rivelare ciò che nascondeva. -Grazie, Astolfo- rispose -grazie davvero-.

Il cerusico emise una risata frammischiata ad un borbottio, richiudendo la pioggia fuori dal portone. Per un attimo, davanti a sé rivide il pallido novizio dai grigi occhi senza età che aveva conosciuto in una mattina d'ottobre; e, come sempre gli accadeva, quel pensiero sciolse ogni sospetto dal suo cuore con la rapidità della brina davanti a una candela. -Ah, tanto so già che me ne pentirò. Bene, cosa ti è capitato, ragazzo mio? Sei stato scacciato di nuovo da un monastero? Ti sei fatto inseguire da una mandria di contadini furiosi? Quella tua lingua troppo svelta sarà la tua rovina, l'ho sempre detto.-.

Gregorio sorrise, malgrado la stanchezza, malgrado la nostalgia:-Chiedo solo un letto per qualche notte, più i pasti dei forestieri. E di parlare per un momento con Adalberto.-.

A quel nome, un'identica stilettata trapassò i due uomini, come un colpo di frusta nel petto. Astolfo inspirò, la luce che gli tremolava tra le mani:-Oh, no, Gregorio. Sai che cosa è successo l'ultima volta che vi siete incontrati, che cosa ti ha detto, che cosa tu gli hai detto. Credimi, non è saggio tormentare ferite che non si sono mai rimarginate davvero.-.

Il giovane si morse il labbro, insofferente, febbricitante, e le sue dita sfiorarono il volume che pesava sul suo fianco:-Tu non capisci, Astolfo: non sai che cosa ho scoperto, che cosa ho trovato. Io avevo ragione. Ma non è questo l'importante: ciò che è importante, anzi, è incredibile e meraviglioso è che quello esiste davvero, ed è qui con me-.

I sensibili occhi del medico si spalancarono. -Vuoi dire che l'hai trovato. Dio ci aiuti, vuoi dire che l'hai trovato e l'hai portato qui?-.

-Non c'era posto più insospettabile- replicò Gregorio -né uomini di cui mi fidassi di più-.

-Ma se è davvero quella, figlio mio, allora hai tra le mani una minaccia tremenda, un peccato abnorme, una porta per l'inferno...-.

-...Allora mai una porta dell'inferno ha racchiuso in sé tanta luce!- ribatté il viaggiatore, avvampando di furia e di passione – né ho mai trovato una saggezza tanto umana e tanto dolorosa! Ma per decifrarla pienamente ho bisogno di Adalberto. Ti prego, Astolfo, ti chiedo solo questo. Portami da lui. Portami allo scriptorium.-

Per un lungo istante, il tempo si tese come una fusciacca, raggrinzendosi nei ricordi, distendendosi nell'alchimia silenziosa che aveva sempre allacciato quei due uomini:entrambi rividero le volte possenti dello scriptorium acceso di lucerne, le voci infuriate che salivano di fronte ai codici, la grande rabbia e il grande pianto di un vecchio uomo dalla barba argentea, le sue ultime parole terribili e ferite. Alla fine, come sempre, fu il cerusico a incidere la carne:-E va bene, va bene. Che Dio mi perdoni, potrai vedere Adalberto-.

Gregorio sorrise, il sangue punto dall'eccitazione e dal dolore: a rapidi passi, passi che riconoscevano un'antica strada, precedette il monaco lungo uno dei bui corridoi.

 

Adalberto chinò il capo ancora una volta, piegandosi sotto l'ombra del crocifisso di legno; nel chiarore tremante delle candele, i tratti del Cristo avvampavano di colore e di vita. Gli altri monaci si erano già ritirati nelle celle, ma il vecchio abate era rimasto nella piccola chiesa, con la sola compagnia di quel volto di frassino e dei mostri sbozzati che si torcevano sui capitelli; sebbene non lo confessasse neppure a se stesso, non era per pregare che ogni notte rimandava il sonno. Era perché amava quel momento, l'ora d'argento e di ombra in cui i lacci del giorno si sciolgono, e pensieri e ricordi corrono rapidi come segugi sguinzagliati. Lo amava, a dispetto della stilla di sangue che certe memorie gli chiedevano, a dispetto del fatto che la sua mente, ogni sera, si imperniasse inevitabilmente sull'unico grande rimpianto della sua vita; e così restava lì, protetto dalle mura massicce della cappella, a rendere il suo omaggio quotidiano al passato e ai suoi fantasmi.

Fu per questo che quasi sobbalzò, quando udì un fruscio di passi dietro di sé. Riconobbe la cadenza veloce e ancora agile di Astolfo, lo scricchiolio dei sandali sulle antiche pietre. Sospirando, Adalberto si rialzò, voltandosi:-Benvenuto, Astolfo-.

Il medico si limitò ad un breve cenno, segno che vi era un'incombenza nella sua visita: e il cerusico aveva l'abitudine di rivelare subito la cancrena, prima che corrompesse il corpo.-Abate, c'è un visitatore per te. Ti sta aspettando nello scriptorium.-.

La fronte, alta sulle sopracciglia cespugliose, si corrugò:-Un visitatore? A quest'ora?-. Non era raro che da lui si recassero, per consiglio o per donazioni, signori e conti di quelle terre, ma l'ora, e ancor più il tono accorto e contenuto del suo dottore, lo inducevano a pensare che non si trattasse di un'occasione simile.

-Tu seguimi nello scriptorium, padre- replicò Astolfo, le labbra strette e bianche -credimi, te ne prego, sarà meglio così. Sarà molto meglio così-.

Adalberto si concesse un istante per vagliare, come accadeva con i suoi manoscritti, quanto di vero vi fosse in quel discorso: ma da quella carta questa volta non sorse alcun indizio, se non ciò che aveva dichiarato. -Va bene- decise infine -va bene, vengo subito-.

Astolfo rinnovò il cenno, e la sua voce acquisì la dolcezza che usava con i pazienti e con gli amici:-Te ne sono grato, Padre-.

Il medico si avviò, tendendo avanti la lanterna; l'abate lo seguì fuori dalla chiesa e lungo l'ombroso corridoio al suo fianco, fino alla tortuosa scalinata che portava in alto, fino a quello che era da vent'anni il suo orgoglio e il suo regno. Non appena raggiunsero lo scriptorium, l'amato sentore di cuoio e freddo, di inchiostro e polvere gli invase il respiro; fu solo in un secondo momento che si avvide della figura scura, minuta e ben fatta, che attendeva in piedi accanto ad un leggio.

-Salute a te, viandante- cominciò Adalberto, mentre lo sconosciuto si voltava -che Dio ti possa...-

ma le parole gli si strozzarono in gola, quando il suo sguardo incontrò due occhi del colore della tempesta, e il viso che era stato lo spettro di tante notti.

Parlare divenne improvvisamente difficile.-Vattene, vattene dalla mia chiesa- mormorò, ma sapeva che anche quello scudo sarebbe caduto -non vogliamo eretici in questo monastero-.

Gregorio avanzò di un passo, un braccio proteso, la bocca sospesa tra il sorriso e il pianto: -Adalberto...Padre-.

Il volto del vecchio divenne di granito: -non hai più diritto di chiamarmi così da molto tempo.-.

Il giovane si fermò, incerto, ferito:-Andiamo, Adalberto: parli come se non fossi stato tu a rivelarmi quel baule di manoscritti, come se non fossi stato tu il primo a intuire cosa si nascondeva nel Codice.-.

L'abate socchiuse le palpebre, piegandosi come per ricevere un colpo di spada. Rivide la grande cassa polverosa che aveva ritrovato nei sotterranei della villa accanto al monastero, l'eccitazione nel rivelarla al suo allievo più brillante, la vertigine dorata dello sfiorare pergamene pallide di tempo e di abbandono e dell'intendere le parole di uomini ormai ridotti in polvere. E poi rivide quel rotolo, quello scritto pagano splendido e proibito, le lettere greche sottili e aggrovigliate che narravano un mondo spaventoso e splendido di atomi che si aggregano e di dei indifferenti; e il richiamo a quel testo misterioso, all'opera perduta di un grande sapiente consumato dall'amore e dalla pazzia, che rifondava il mondo sul fango e sulle lacrime. Lui non aveva voluto continuare la ricerca: erano troppi i dubbi che quel testo induceva, troppo profondi gli abissi che schiudeva sotto i passi dell'umanità; ritrovare l'originale sarebbe stato devastante. Ma Gregorio, il giovane dai capelli rossi e l'anima senza tempo, non aveva voluto abbandonare l'impresa. Era per quello, che in una fredda sera di Gennaio le loro grida avevano danzato tra gli echi delle volte, e il suo prediletto se ne era andato con una sacca di abiti e cibo e il Codice.

Adalberto lasciò scivolare la forte mano rugosa sulla pietra della colonna, avviluppato dalla memoria.-Sì, sono stato io, e non finirò mai di pentirmene.-.

-Non dire così- replicò Gregorio, la voce solenne e incrinata -Dammi solo l'occasione di mostrarti ciò che trovato nella mia ricerca, lascia solo che ti riveli quanta bellezza ho scoperto.- spalancò le braccia, esponendo infine il volume che custodiva -Con queste parole, gli uomini smetteranno di avere paura di alzare lo sguardo al cielo; smetteranno per sempre di avere paura!-.

Astolfo si accarezzò la fronte in un gesto nervoso, mentre le labbra dell'abate impallidivano di rabbia. -Tu...tu hai davvero cercato quello scritto, quello tradotto dal Codice...?-.

-Ho viaggiato in ogni città e in ogni porto per trovarla, Padre: ho rincorso quest'opera tra le tempeste del mare e il vento delle montagne, tra genti meravigliose e popoli orrendi. Ho scoperto che il Codice apparteneva ad un mercante tornato da un viaggio a Bisanzio; lì ho appreso che si trattava di un commento ad un testo unico, il poema di un Romano che aveva tentato di coniugare la dolcezza della poesia e il rigore della scienza. Ho setacciato intere biblioteche e innumerevoli monasteri, ma alla fine sono riuscito a trovarlo; ed ora l'ho portato qui.-.

Il vecchio priore si ritrasse, guardingo, attento al colpo:-E perché l'hai fatto?-.

Gregorio lo fissò con uno sguardo senza superbia e senza umiltà; lo stesso che lo aveva inchiodato una mattina di Settembre, quando il magro figlio di un cavaliere era diventato suo novizio.-Perché tu mi aiuti a tradurlo.-.

Adalberto scosse la testa, rifuggendo la tentazione, rifuggendo i ricordi.-Quelle sono opere scellerate, ragazzo; opere di uomini che negano ogni bontà e ogni giustezza della nostra creazione, e sostituiscono al nostro Dio d'amore il grembo freddo di una Natura senza nome.-.

-Ma non ci lasciano soli- ribatté Gregorio, animandosi -perché in queste parole vi è anche tutto l'amore e tutta la pietà che mai abbia colmato l'anima di un uomo: e pensare che tutta questa umanità sorge solo da una manciata di polvere e umori la rende ancora più preziosa, come rose sbocciate dal letame.- avanzò a lunghi passi, e spalancò il manoscritto sul leggio di fronte al vecchio -In queste lettere vi è luce, Padre; una luce più cruda e più amara di qualunque abbiamo incontrato finora, ma anche più limpida i tutto ciò che conosciamo.-

-Una luce che non discende da Dio.-.

-No, una che discende dagli uomini!- Gregorio sfogliò le pagine, i periodi latini che si inanellavano nel bagliore della lucerna -Questo mortale, questa creatura materiale e finita che per prima ha scritto queste parole è riuscita a vivere senza l'attesa di un giudizio o di una ricompensa; è riuscita a credere in un mondo senza dei.-

Il volto di Adalberto era grave, la bocca atteggiata ad un rimprovero; ma intanto la sua mano sfiorava la pergamena, e il traduttore che viveva in lui sapeva di essere già stato incantato.-Il mondo non è pronto per questo, Gregorio. Il mondo non è pronto a rinunciare a Dio, sebbene lo tema più di quanto lo ami.-.

-Non ti chiedo di accettarlo, o di leggerlo pubblicamente- replicò lentamente il viaggiatore -Dio mi perdoni, neanch'io so se sia giusto o erroneo, se sia una preghiera o una bestemmia: ma voglio almeno, prima di dimenticarla, immergermi per un istante nella sua luce difficile.- sospinse il liso volume verso il suo maestro, gentilmente, fermamente:-Aiutami a interpretarlo, Padre. Per amore della conoscenza che mi hai insegnato a ricercare, aiutami a liberare questa luce.-.

Adalberto attese; attese un segno, un sussurro, un grido di uno spirito che gli ingiungesse di fermarsi, di dare subito alle fiamme quel testo sacrilego, mentre la sua fede complessa e forte tremava intorno all'anima. Ma non percepì nulla, se non la carta ruvida sotto le dita, e il richiamo terribile di quelle lettere brune.

Astolfo e Gregorio aspettarono, in silenzio. Il tempo si dilatò, immenso, vertiginoso, ricolmo di tutte le memorie e tutti i rimorsi di una vita; e infine l'abate conobbe la sua decisione.

-Che Dio ci guidi- sussurrò -lo farò. Ti aiuterò-.

Gregorio rizzò la testa, e si concesse il primo vero sorriso da molti giorni:-Grazie, Padre. Grazie.-

Adalberto sospirò, la bocca contratta e livida; ma i suoi occhi bruciavano di curiosità e di timore, e senza quasi che se ne avvedesse la sua mente aveva già cominciato a porre in ordine le parole distese nell'inchiostro. -Non ringraziarmi per il cedere ad una tentazione.- ribatté -Allora, come si intitola quest'opera con tanta luce?-.

Gregorio sorrise di nuovo, rivoltando gli spessi fogli fino ad una pagina bianca, screziata da un unico cartiglio in caratteri rossi: De rerum natura, Lucrezio.

-”La natura delle cose”, eh?- commentò il vecchio abate, chinandosi sul leggio -Bene, vediamo se è davvero tanto prezioso come dici...-.

Il suo antico allievo si accostò, tendendosi sopra la spalla del maestro e indicando il primo punto in cui aveva avuto difficoltà a tradurre; dall'altro lato si avvicinò Astolfo, la mente brillante che formicolava di domande; dietro di loro, contro il bagliore della candela, le ombre dei tre uomini si fusero in una sola.

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